Nella vita quotidiana siamo portati a fare numerose scelte e a prendere decisioni spesso importanti per noi stessi e per gli altri. A volte, facciamo ciò inconsapevolmente, prestando poca attenzione ai processi che mettiamo in atto durante le decisioni o non considerando le conseguenze che da esse ne derivano.
Daniel Kahneman, è stato il primo psicologo a vincere un premio Nobel. Nel 2002, le scoperte nell’ambito dei processi decisionali e l’applicazione dei suoi studi alle scienze economiche, gli sono valsi il riconoscimento per l’Economia. Nel libro “Pensieri lenti e veloci” (Kahneman, 2012; Arnoldo Mondadori Editore) descrive accuratamente due sistemi differenti coinvolti nelle decisioni che prendiamo in condizioni di incertezza.
Il sistema 1: Opera in maniera istintiva, automatica, veloce, senza sforzo e senza controllo volontario. Si concentra sulle prove esistenti ma trascura quelle che mancano. Genera impressioni e sensazioni. Tende immediatamente a credere e a confermare, trascurando altri dati. È meno accurato.
Il sistema 2: Opera in maniera più razionale, lenta, richiede sforzo e impegno. É pigro! È accurato, dubita e prende in considerazione tutte le variabili di un problema.
I due sistemi vedono l’attivazione di aree differenti del cervello. Il sistema 1 è l’espressione del cervello più arcaico che include il sistema limbico, il talamo e l’amigdala. Questa parte è considerata la sede principale delle emozioni ed è coinvolta nelle risposte emozionali, nei processi di memorizzazione delle emozioni, nell’elaborazione degli stimoli olfattivi e nella comparazione degli stimoli sensoriali con le esperienze passate. Il sistema 2, al contrario, è connesso all’attivazione della corteccia, la parte più evoluta del nostro cervello, principalmente coinvolta nel ragionamento, nella pianificazione, nel monitoraggio, nel controllo e nelle scelte razionali.
Quando dobbiamo fare delle scelte in condizioni di incertezza, abbiamo da una parte un sistema 2 che è pigro e un sistema 1 che cerca la coerenza ed è ansioso di ricevere un’immediata gratificazione. Pertanto, molte delle decisioni che prendiamo seguono la regola: “quello che si vede è l’unica cosa che c’è” (WYSIATI: what you see is all there is). Non ci chiediamo se abbiamo davvero tutte le informazioni necessarie da sapere. In questo modo, rischiamo di saltare troppo presto a conclusioni inesatte.
“È la coerenza, e non la completezza delle informazioni, che conta per una buona storia. Anzi, si scopre spesso che sapere poco rende più facile integrare tutte le informazioni in un modello coerente” (Kahneman, 2012, pag. 117).
Quando un quesito è troppo complesso e abbiamo poco tempo per decidere, molto spesso il sistema 1 entra in azione sostituendo il quesito complesso con uno più semplice, al quale possiamo fornire una risposta immediata. Ad esempio, è più facile sostituire la domanda “La candidata avrà successo?” con la domanda “È disinvolta durante il colloquio?”
È in questo caso che entrano in gioco le euristiche, dal verbo greco heurískein, che vuol dire trovare. Le euristiche indicano, infatti, il modo più semplice e veloce di trovare risposte adeguate, anche se imprecise e imperfette.
Questo meccanismo è ancora più forte quando nei processi decisionali sono coinvolte le emozioni, capaci di influenzare il nostro pensiero, anche se non siamo del tutto consapevoli dell’emozione che proviamo mentre facciamo una scelta. Tale fenomeno viene definito “euristica dell’affetto”, attraverso il quale ci costruiamo delle credenze sugli altri e sul mondo in base alle emozioni che proviamo, alle simpatie e alle antipatie. Alcuni esempi:
Se un progetto ci piace, saremo più portati a considerarlo valido e a pensare che i benefici saranno maggiori dei costi.
Se la nostra azienda oggi funziona bene, saremo maggiormente portati a ritenere che funzionerà bene anche tra quattro anni.
Se abbiamo a cuore il destino delle tartarughe, saremo disposti a fare una beneficienza cospicua per salvare le specie protette in pericolo.
Quando prendiamo delle decisioni basandoci sulle nostre emozioni, quindi, lasciando operare il sistema 1 mentre il sistema 2 si riposa, possiamo commettere un bias di giudizio molto comune, chiamato “effetto alone”, caratterizzato da una coerenza emozionale esagerata. Esso ci porta a generalizzare, in senso positivo o negativo, solo alcuni aspetti osservabili e questo ci consente di formulare un giudizio globale che, però, trascura e dà per scontato le informazioni assenti. Ad esempio quando ci piace il corso d’inglese, tendiamo ad apprezzare anche altre caratteristiche dell’insegnante, come la voce, l’aspetto, il comportamento, magari pensiamo che sia anche una buona madre e un’ottima compagna. Al contrario, quando detestiamo il corso d’inglese, valutiamo negativamente anche altri aspetti che, in realtà, conosciamo poco o affatto. L’effetto alone condiziona moltissimo l’immagine che ci costruiamo degli altri o degli eventi.
In un famoso esperimento, Solomon Asch (1946) presentò alle persone la descrizione di Alan e Ben, e chiese ai partecipanti di dire cosa pensassero della personalità di entrambi:
Alan: intelligente, industrioso, impulsivo, critico, ostinato, invidioso.
Ben: invidioso, ostinato, critico, impulsivo, industrioso, intelligente.
L’esperimento mostrò come l’ordine di presentazione degli aggettivi, nonostante fossero gli stessi, modificasse il significato delle caratteristiche di personalità attribuite ai due individui. Infatti, Alan veniva considerato migliore di Ben.
L’ordine di presentazione è molto importante quando facciamo delle scelte o formuliamo dei giudizi basandoci sul sistema 1, poiché l’effetto alone ci porta a dare più valore alle prime impressioni, tanto da non considerare le successive o le ultime. Inoltre, la sensazione di coerenza fornita dal sistema 1 può risultare falsa o sbagliata.
Quando conosciamo bene il quesito o la situazione, lasciare che sia il sistema 1 a prendere decisioni non è sempre sbagliato, anzi ci aiuta a fare delle scelte rapide. Al contrario, quando non conosciamo bene un problema e le circostanze, sarebbe più opportuno utilizzare il sistema 2, in modo che possa dubitare, ragionare e valutare tutte le variabili. Ciò può aiutarci a commettere meno errori e ad avere una visione più chiara delle decisioni che prendiamo.
Bibliografia
Kahneman, D. (2012). Pensieri lenti e veloci. Milano: Arnoldo Mondadori Editore.
Solomon, E. A. (1946). Forming Impressions of Personality. Journal of Abnormal and Social Psychology, 41, 258-290.